Sanremo e la comunicazione violenta

Foto da Vanity Fair

Marshall Rosenberg ha iniziato a parlare di comunicazione violenta e non violenta all'inizio degli anni '60. Rosenberg non conosceva il Festival di Sanremo, e non avrebbe mai immaginato che un giorno una psicologa italiana emigrata nel Regno Unito avrebbe usato le sue idee per parlare del festival della canzone italiana. Secondo Rosenberg i conflitti sono generati da una comunicazione non efficace. Quella che lui definisce “non efficace” è definita “comunicazione violenta” o “non collaborativa” in quanto  può essere coercitiva o manipolatoria, alle volte senza che noi ne siamo consapevoli. Questo tipo di comunicazione causa sentimenti di colpa, vergogna, paura. Un esempio che faccio spesso ai genitori che supporto è: quando insegniamo al/la bambino/a che bisogna avere paura di qualcosa, per esempio dicendo che deve fare i compiti altrimenti la maestra lo/la sgrida o mette in punizione. Al contrario, una comunicazione più efficace sarebbe quella “non violenta” o “collaborativa”, che utilizza un tipo di linguaggio che descrive qualcosa senza necessariamente dare un giudizio, e soprattutto permette di esprimere le emozioni senza che queste vengano giudicate. Nell'esempio dei compiti a casa, sarebbe utile che il messaggio non sia “se non lo fai verrà punito” ma “sarebbe meglio tu li facessi perché lo fai per te, per capire se hai capito o no”. Si nota il messaggio molto differente?

Un altro tema che riscontro spesso nel mio lavoro coi genitori, e che mi fa pensare subito alla comunicazione violenta vs non violenta, è quello della confusione tra quello che è un “fatto” (qualcosa che è oggettivamente presente o accaduto, con relative prove tangibili), e un'opinione (un giudizio, un'osservazione personale e soggettiva). Uso moltissimi esempi diversi quando lavoro con genitori e figli/e, lo scopo è quello di aiutarli a comunicare meglio distinguendo tra un fatto e un'opinione. Per fare un esempio: “il fumo fa male” è un dato di fatto, ci sono studi che lo dimostrano, mentre “questa minestra fa schifo” è decisamente un'opinione. Il problema nasce quando questa distinzione non è chiara. Immaginiamo che si parli di musica. I genitori mi dicono: “la musica che ascolta mio/a figlio/a è terribile, i testi parlano solo di sesso e droga, mio/a figlio/a si lascia influenzare da quello che dicono questi musicisti e va a finire in pessime compagnie”. Il figlio o la figlia di solito mi dicono: “boh, a me piace”. Se vogliamo fare un oggettivo paragone con la musica con cui sono cresciuti i genitori, mi duole dire che i testi probabilmente parlavano di sesso e droga. Gli esempi non mancano, da De Andrè ai Pink Floyd, ma per tornare ai tempi di Rosenberg, “Non ho l'età”, cantata da Gigliola Cinquetti nel 1964 quando lei aveva 16 anni e sognava una relazione adulta, parlava decisamente di sesso e del non poterlo fare. Non sembra quindi un po' ipocrita che i genitori rompano le scatole agli adolescenti, quando i loro genitori hanno fatto lo stesso, probabilmente facendo commenti molto simili? Ma ci sono delle considerazioni da fare:

1. Il nostro cervello in parte dimentica le nostre esperienze adolescenziali. Molte cose cambiano nel cervello adulto, che finisce di maturare intorno ai 25 anni (fatto oggettivo confermato da molti studi – no, vostro marito non è un'eccezione, ma potrebbe essere un pirla, il che è un'opinione). Il cervello delle donne, inoltre, cambia in seguito alla gravidanza e non torna più come prima (altro fatto supportato da studi – no, vostra moglie non ha smesso di essere interessata al sesso perché è una stronza, lo ha fatto perché il cervello le ha detto di concentrarsi sul/la bambino/a per motivi evolutivi, ovvero per mandare avanti la specie).

2. Genitori e figli hanno esperienze diverse perché il contesto socio-culturale è diverso. I primi sono cresciuti senza Instagram, ma anche senza un governo Trump. I secondi sono cresciuti senza problemi di connessione, ma anche senza usare le Lire. 

Foto da https://www.psinfantile.com
Tornando alla comunicazione, i genitori fanno quindi fatica a “connettersi” coi propri figli e ad astenersi dal giudicare negativamente le nuove mode, tecnologie, modi di dire, ecc. Per contro, i figli si incazzano quando i genitori “rompono le scatole” giudicando male quello che fanno, ascoltano, indossano, dicono. 

A questo punto vi starete chiedendo cosa c'entri Sanremo, quindi vi lancio la mia “truth bomb”, verità che fa male, dal punto di vista di una psicologa che si occupa di comunicazione interpersonale. State facendo quello che hanno fatto i vostri genitori. Vi mettete su Facebook (che, giusto per ricordare, equivale al mettersi sul terrazzo di casa per urlare cose ai passanti e vicini) a dire cose come: “Hanno tutti l'autotune” (spesso senza sapere come funzioni), “Non sanno cantare” (spesso senza aver studiato musica o canto), “Hanno bisogno di un logopedista” (spesso non sapendo esattamente cosa fa il o la logopedista di preciso). Prima di dirvi come rimediare a questi errori di comunicazione - perché sto dando per scontato che il vostro scopo sia dare un'opinione, non menzionare un fatto supportato da dati oggettivi - vorrei fare delle considerazioni:

1. Quanto sapete della trap italiana e delle sue origini? Sapete indicare i maggiori esponenti di questo genere in Italia e all'estero? Sapevate che si dice LA trap e non IL trap? Sapete come funziona l'auto-tune? Mi sapete dire quando si è iniziato ad usarlo e quali sono i suoi usi? Ebbene, che vi piacciano o meno canzoni in cui si usa questo software (ammesso che sappiate distinguerlo da altre distorsioni applicate alla voce...), la vostra è un'opinione, non un fatto. Perché i fatti, di fatto, non li conoscete (basta un giretto su Wikipedia, meno giudizio e più curiosità).

2. Nello specifico parlando di Sanremo, ho letto moltissime critiche agli artisti “giovani” (quelli con l'auto-tune che hanno bisogno di un logopedista, per citare voi), perché hanno fatto le cover di canzoni “intoccabili” come “Centro di gravità permanente” o “Via del Campo”. Mentre i “vecchi” cantano sé stessi o duettano coi loro coetanei (Gianluca Grignani e Anna Oxa hanno cantato sé stessi, e pure male; Giorgia ha invitato Elisa, altri hanno invitato gente talmente scazzata che non ricorda nemmeno i propri testi, tipo Ramazzotti), i “giovani” hanno affrontato una sfida più grande, uscendo dalla propria comfort zone e confrontandosi coi mostri sacri. Che siano piaciuti o meno, hanno personalizzato canzoni di cui abbiamo sentito già moltissime versioni, o che sono state definite “intoccabili”. La riflessione è: perché i vecchi non sono usciti dalla propria comfort zone, personalizzando una canzone trap o contemporanea? Avrei tanto voluto che Mengoni cantasse una canzone di Achille Lauro, è invece ha voluto vincere facile. Perché vedete, Mengoni può fare la cover di "Let it be" e zitti tutti, l'avesse fatta Rosa Chemical si sarebbe urlato alla blasfemia. Due mezzi, due misure. Ma questi sono i fatti. Massimo rispetto a Lorella Cuccarini che, controtendenza, ha permesso ad Olly di fare la sua versione di “La notte vola” e ci ha messo la faccia e il (molto tonico) corpo. 1000 punti a Lorella che è sempre giovane, anche di testa.

3. “Perché ci sono questi con l'auto-tune a Sanremo?”. Perché la musica contemporanea suona così, e se ti suona “brutta” è perché le tue orecchie sono cresciute con qualcosa di diverso. Se non ti incuriosisce, sei vecchio/a. Fattene una ragione. Non è un problema, eh! È solo che stai dando a qualcun altro la colpa di qualcosa che di fatto è un problema tuo. Sii curioso/a ed espandi la tua mente: previene l'Alzheimer (fatto, non opinione).

Foto da Nalders Solicitors
E adesso, vi spiego come passare da una comunicazione violenta e poco efficace, ad una non violenta, collaborativa e più sana, distinguendo tra un un giudizio negativo e acido e una opinione personale:

“Hanno tutti l'autotune” → “Ho notato che i giovani hanno un effetto sulla voce, non mi piace particolarmente, ma andrò a leggere di cosa si tratta e perché viene usato. Magari cambio idea. Magari no”. Ma almeno farò una scelta informata, non basata sui miei pregiudizi.

“Non sanno cantare” → “Non sono un'esperto/a di canto, quindi non posso giudicare. Posso solo dire che certi/e cantanti non mi piacciono”.

“Hanno bisogno di un logopedista” → “Ho notato che i “giovani” cantano con uno stile comune, vado ad informarmi sul perché viene usato e quale sia il suo significato. Magari continuerà a non piacermi, ma almeno saprò di cosa si tratta senza sparare sentenze non informate. Vado anche a leggermi cosa fa di preciso un/una logopedista”.

Foto da Enago Academy

Ora vi chiedo, secondo voi perché ci viene più facile usare una comunicazione violenta o non collaborativa? Perché, come potete vedere, ci mettiamo meno tempo. Il cervello è fatto per trovare sempre la via più breve ed economica (in termini di dispendio di energie) per arrivare ad una soluzione. Non a caso meccanismi di questo tipo si chiamano “scorciatoie cognitive” e sono alla base degli stereotipi e dei pregiudizi. Usare una comunicazione non violenta o collaborativa è più faticoso, sia perché ci mettiamo di più, sia perché è un modo di comunicare molto diverso da quello che abbiamo sempre usato. Quali sono i vantaggi? Una comunicazione migliore, in cui non passate per vecchi acidi e vecchie rompiscatole agli occhi delle nuove generazioni, ma anche un maggior rispetto del prossimo, chiunque sia. Applicate una comunicazione collaborativa nella vostra vita quotidiana e ne vedrete gli effetti benefici. Pensate sempre “è un fatto, o una mia opinione?”, e parlate di conseguenza. Alle volte anche non avere una opinione va bene, anche stare zitti va bene. Il segreto è essere curiosi, avvicinarsi a questi giovani che fanno tanta paura e non vengono capiti (soprattutto se sono figli/e vostri/e) e chiedere “mi spieghi quella cosa lì? Mi dici cosa ti piace?”. Questo apre la porta del dialogo, altrimenti chiusa dal vostro giudizio insindacabile. Non fate come i vostri genitori, rompete il ciclo del giudizio, della comunicazione violenta e delle incomprensioni. Oppure, statevene zitti e buoni. 


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